Naturalmente

Della paura e della genetica in viticoltura

Buona domenica. L’agricoltura è la storia dell’uomo che interviene sulla natura.

E, come scriveva Renato Ratti, nessuna coltura lega l’uomo alla terra quanto quella della vigna. Eppure ci rassicura l'idea che un vino sia “naturale” e che altri prodotti dell’agricoltura siano “naturali”.

Stiamo forse sviluppando l'idea di una natura intrinsecamente buona contrapposta a un uomo da guardare con sospetto e che deve astenersi dall’intervenire? C'è in atto un conflitto, nella nostra testa, tra Uomo e Natura?

-Stefano Labate

VERO O SIMILE

Immagine creata con Adobe Firefly

LE PAROLE DI WINELETTER

Snaturare

  1. Stravolgere, o modificare profondamente, la natura, cioè i caratteri proprî e naturali, peggiorandoli o degradandoli: la passione sfrenata (o l’ambizione eccessiva, l’avidità di dominio, lo sfrenato egoismo, ecc.) snatura l’uomo; il fanatismo può s. i popoli; nell’intr. pron., snaturarsi, perdere o cambiare profondamente la propria natura: nelle guerre, l’umanità si snatura. Anche riferito, più astrattamente, alle qualità e alle tendenze stesse che si ritengono connaturali all’uomo: condizioni che snaturano i sentimenti di carità, di fratellanza, gli istinti più sani. 

  2. a. estens. Modificare profondamente gli aspetti, le condizioni, la funzione di luoghi, spazî, ambienti, sia naturali sia anche creati dall’uomo.
    b. fig. Alterare l’essenza vera di qualche cosa, travisarne, anche intenzionalmente, il carattere, le intenzioni, il significato: è un resoconto che snatura la realtà dei fatti; l’articolo del giornalista ha snaturato le affermazioni dell’intervistato; sono metodi d’insegnamento che snaturano il concetto stesso di educazione; un’esecuzione, o una trascrizione, che ha snaturato il carattere profondamente religioso dell’opera.

-Treccani Vocabolario

Un vigneto non sarà mai un ambiente naturale. In natura non troverai mai, per caso, seimila viti piantate insieme nello spazio di un ettaro. L’uomo è il trait d’union tra la vite e il territorio che lo circonda.

-Gaia Gaja

NATURALMENTE
Della paura e della genetica in viticoltura

Deborah Piovan, imprenditrice agricola e divulgatrice scientifica

Spesso siamo portati a considerare la natura come un'entità intoccabile, mentre l'uomo è visto come un'intrusione negativa. Questo concetto può alimentare una diffidenza verso l'innovazione e la scienza applicata all'agricoltura.

Le paure del resto sono un fenomeno comune quando si tratta di cambiamento. E l'utilizzo della genetica in agricoltura suscita dubbi e timori nelle persone.

Ho parlato con Deborah Piovan, imprenditrice agricola e divulgatrice scientifica.

Deborah sottolinea l'importanza della divulgazione per combattere le paure e i miti che circondano l’intervento dell’uomo e l'utilizzo della genetica in agricoltura. Spiega che spesso le persone hanno paura dell'innovazione perché non sono a conoscenza dei controlli e dei seri vincoli a cui sono sottoposte le aziende agricole. Sottolinea che l'agricoltura europea è regolamentata in modo rigoroso, rendendo il cibo prodotto in Europa il più sicuro al mondo.

Se andiamo indietro nelle generazioni, tutti troviamo un antenato agricoltore. Alcuni ce l'hanno ancora in casa, magari i nonni. Molti di noi però lo hanno dimenticato e non sanno più che cosa significhi fare agricoltura e proteggere un campo coltivato da tutte le minacce: insetti, malattie...

Perché la genetica ci fa paura?

“La parola genetica è stata associata in passato senza alcun concreto motivo alla parola FrankenFood. E questa è stata una battaglia di un certo tipo di marketing, anche ambientalista, del tutto fuori luogo”. 

Parlando del concetto di "naturale", Deborah fa notare che l'agricoltura è un'invenzione dell'uomo intrinsecamente legata al suo intervento. Tuttavia, l'agricoltura deve rispettare l'ecosistema circostante e operare in modo sostenibile.

Le innovazioni possono servire a questo scopo. La genetica può migliorare la resistenza delle piante alle malattie e alla siccità e farci così anche ridurre l’impiego di altre sostanze che vorremmo impiegare meno.

In questa ottica, Deborah discute anche dell'importanza di valutare la sostenibilità ambientale di tutte le pratiche agricole. Spiega per esempio che l'agricoltura biologica, sebbene abbia grandi meriti, non sempre risulta la soluzione più sostenibile dal punto di vista ambientale, poiché richiede più terra e può causare maggiori emissioni di gas serra rispetto a una pari produzione convenzionale.

Un tema che mi è piaciuto affrontare con Deborah Piovan è quello della comunicazione e della divulgazione scientifica.

Nel giornalismo si parla di solution journalism, un approccio che si concentra sulle risposte senza limitarsi a denunciare i problemi. In questo modo si prendono in considerazione storie ed esempi di ciò che funziona e che non funziona, basandosi su evidenze credibili.

In tempi di fake news, come facciamo ad andare oltre i problemi, a superare le paure e a valutare l’opportunità dell’innovazione, a decidere insieme?

Deborah auspica una comunicazione accurata, e basata sui fatti, e si rammarica per una cosa di cui spesso non si parla ovvero che la diffusione di bufale e notizie false danneggi la reputazione degli scienziati e delle istituzioni scientifiche.

Anche per ricostruire la fiducia serve un approccio nuovo, trasparente, che tenga conto della paura delle persone e legittimi il ruolo della scienza e dell’innovazione - forse anche il ruolo dell’Uomo - nel rapporto con la Natura.

Davanti alle paure le persone cercano delle risposte semplici. Il ‘Naturale’ è una risposta istintiva, facile, immediata. Quando la si propone, la si vende bene. Però, se parlate con un agricoltore di ‘naturale’, a meno che non sia nel bel mezzo di una sua campagna di marketing, probabilmente vi dirà che il naturale tendenzialmente è tutt'altro rispetto all'agricoltura.

Piovan suggerisce di ripartire dai problemi e dalle sfide degli agricoltori per poi arrivare a spiegare le diverse soluzioni disponibili tra cui scegliere.

Abbiamo una forte responsabilità: coltivare in maniera efficiente i terreni che abbiamo preso in prestito dalla natura. Dobbiamo proteggerli al meglio proprio per non dover mettere a coltura altra terra, con una popolazione del pianeta in crescita, e con un clima che sta cambiando e che sta rendendo difficilmente coltivabili aree fino a ieri relativamente fertili.


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SCRIPTA MANENT

📚 “Nessuna coltura lega l’uomo alla terra quanto quella della vigna.

Tale caratteristica, ripetutamente messa in evidenza, sfruttata o valorizzata, è stata uno fra i più importanti fattori che favorirono lo sviluppo della viticoltura in tutto il mondo, a cominciare dalle lontane e nebulose origini fino ai nostri giorni.

L’impianto di un vigneto comporta infatti un primo periodo improduttivo della durata di tre o quattro anni, durante il quale si richiede sforzo manuale ed un impegno di interventi e di spese non indifferenti, sia per la messa a dimora del vitigno, sia per le continue cure necessarie alla formazione di un solido ceppo dal quale ricavare ogni anno i rami porta-frutto”.

Leggi: Renato Ratti, Civiltà del Vino, Luigi Scialpi Editore, 1973

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